Egitto, Micene, Creta

L'arte egizia ha origini antichissime, precedenti al III millennio a.C., e si intrecciò nei secoli con quella delle culture vicine (siro-palestinese e fenicia).
L'arte dell'Antico Egitto si può suddividere in due grandi periodi: l'arte predinastica o preistorica, e l'arte dinastica dell'Antico, Medio e Nuovo Regno.[1]
Arte predinastica
L'arte predinastica nacque intorno al V millennio a.C. e si manifestò con incisioni rupestri diffuse lungo l'alto Nilo, raffiguranti prevalentemente funzioni magiche di animali, propiziatorie per la caccia, oppure scene di pastorizia. In questa fase storica vennero introdotti i primi strumenti musicali, quali bacchette, tavolette e sonagli, utilizzati in rituali totemici. Le danze erano soprattutto propiziatorie alla caccia, magiche, di fecondazione e di iniziazione.
Architettura
Un capitolo a parte, sin dal periodo preistorico, è rappresentato dall'arte per i morti, evidenziata dal fiorire di necropoli, costituite inizialmente da semplici fosse o santuari di fango e frasche con tombe situate sotto tumuli cintati da palizzate o mattoni e piano piano sempre più complesse, strutturate in forme geometriche e rialzate, impreziosite da oggetti indispensabili al defunto.
Arti decorative
L'arte decorativa era completata da vasi costituiti inizialmente in terra del Nilo, in pietra e in un secondo tempo in argilla, statuette in terracotta e in avorio raffiguranti uomini e animali al lavoro, tavolette in scisto che col passare del tempo assunsero carattere votivo, con i temi ormai in rilievo. Tra le tavolette di questo periodo, conservate al Museo del Cairo, si annoveraro la Tavoletta della caccia, la Tavoletta della battaglia e la Tavoletta del re Narmer, che segnò, per le sue caratteristiche artistiche e culturali, il punto di passaggio fra il periodo preistorico e quello dinastico.
In tutta l'arte predinastica notevole furono gli influssi provenienti dalla Mesopotamia. Complessivamente sono giunti sino ai nostri tempi pochi reperti artistici e architettonici riguardanti il periodo predinastico.
Arte dinastica
L'arte nell'Antico Egitto fu da sempre legata a intenti celebrativi e di propaganda del potere centrale assoluto, con complesse simbologie legate alla religione e alle tradizioni funerarie. Il termine arte non esisteva nemmeno nella lingua egizia, perché il compito dell'artista non era certamente quello di creare, inventare, quanto piuttosto di concretare i simboli della potenza terrena e ultraterrena. L'arte dinastica si caratterizzò sia per l'armonia rigorosa delle geometrie sia per la vastità dei temi descritti e per la ricchezza del pantheon divino. Fondamentale fu anche l'introduzione di un sistema morale religioso che ispirò il Libro dei Morti e tutta l'arte conseguente.
L'arte dinastica dei tre grandi periodi seguì un'evoluzione non lineare, caratterizzata da alcune fasi di grande sviluppo intervallate da periodi oscuri: la prima fu scandita dalla unificazione dell'Egitto e dalla fondazione di Menfi (verso il 3000 a.C.), la seconda dalla III-V dinastia di Menfi (ca.2778-2250), la terza dalla XI-XII dinastia di Tebe (ca.2160-1785), la quarta dalla XVIII-XX dinastia di Tebe (1505-1085). Dalla freschezza naturalistica dell'arte della III dinastia di Gioser, il percorso evolutivo giunse alla tappa dell'astrazione geometrica delle piramidi di Menfi, quindi all'umanizzazione accademica dei codici e delle norme menfite durante il Medio Regno e infine all'arte magnificente del Nuovo Regno impreziosita dalle influenze mesopotamiche e cretesi. Con le dominazioni straniere, dagli Hyksos agli assiri e persiani fino ai romani, la decadenza si accentuò sempre più.
Architettura
![]() | Per approfondire, vedi la voce architettura egizia. |
L'espressione più nota della cultura egizia a partire dall'Antico Regno è l'architettura delle colossali piramidi: già nella III dinastia il faraone Gioser (secolo 2600 a.C.) si fece costruire la prima piramide a gradoni a Saqqara, prendendo ispirazione dalle ziqqurat della Mesopotamia e da una sovrapposizione di mastabe, tombe tradizionali. Queste costruzioni includevano cappella funebre, sale per le statue e la cripta sepolcrale. La tipologia naturalistica di queste strutture funerarie, caratterizzata dalle serie di pilastri, dalle colonne con o senza capitello, nel caso di tendenze protodoriche, in seguito ebbe un'evoluzione indipendente con i lati lisci a triangolo isoscele, ed ebbe il coronamento nelle celeberrime piramidi di Giza, tra le quali spicca la Piramide di Cheope (IV dinastia), uno degli edifici più antichi e impressionanti al mondo. Nella piramide a gradoni esistevano lunghi cuniculi sotto terra, dove si trovavano anche camere. Nella piramide a faccia liscia le stanze vennero invece poi costruite sia sotto terra sia dentro la piramide.
Nel Medio Regno si svilupparono nuovi percorsi architettonici alternativi, le piramidi in mattone assunsero dimensioni più ridotte, aumentarono il numero delle sale interne e si prospettarono i modelli del futuro, come il viale di accesso a sfingi, obelischi all'ingresso, cappelle e chioschi per le processioni, cortile con porticato. La tomba del re venne posta a 150 metri di profondità e non più all'interno di una scala conducente al cielo. La terrazza costruita davanti alla parte sotterranea proponeva un'immagine della creazione del mondo.
Per quanto riguarda i grandi complessi architettonici, quali Luxor e Karnak ristrutturati e in auge anche nel Nuovo Regno, ogni elemento fu indirizzato a infondere un senso di sacralità e di mistero attorno al sacello divino: già in pianta si può notare la complessa articolazione degli spazi, disposti in una lunga successione di cortili, porticati, atrii, sale ipostile via via più piccole e buie, con l'uso di enormi lastre monolitiche sostenute da colonne che schermano la luce. Ogni elemento della struttura riprodusse una parte dell'ultraterreno mentre l'insieme della struttura simulò il tutto cosmico; così se la copertura del portico del cortile venne decorata con un tema a stelle, il pavimento del cortile tese a imitare il colore del terreno dei fertili campi della Valle del Nilo e gli architravi sopra i capitelli ospitarono i nomi dei re poiché indicanti il punto di congiunzione tra terra e cielo.[2]
Una delle novità del Medio Regno fu il proliferare di santuari in tutte le provincie del Regno esprimenti anche divinità locali.
Durante il Nuovo Regno i templi divini si estesero ulteriormente, anche se la sede di quelli più famosi si confermò Tebe. I complessi divennero sempre più articolati, nel pieno rispetto della disposizione gerarchica imposta dal rito: il viale d'accesso conduceva a sfingi o ad arieti, un massiccio portale esterno introduceva al cortile riservato al popolo, mentre all'interno era prevista la sala per i funzionari ed i sacerdoti, e per ultimi il vestibolo e il sacrario riservati al faraone. Gli interni vennero impreziositi da geroglifici e decorazioni policromatiche in rilievo. Tra i templi si annoverarono quelli a terrazze arretrate e quelli ad un'unica torre d'ingresso ispirati ai migdol palestinesi, mentre la struttura più originale fu eretta del re eretico Akhenaton, a cortili aperti culminati da quello portante l'altare del sole.
Sotto i Tolomei ed i Romani l'architettura si arricchì di elementi stranieri e di grandi opere dedicate soprattutto a Iside e Horo.
L'Egitto non mancava di risorse naturali e se l'oro abbondava nei deserti orientali, grandi cave furono aperte per rifornire di pietra calcarea e di arenaria i costruttori. Proficua fu anche l'importazione di avorio ed ebano dalle tribù africane del sud, e del rame dai territori siriani.
Scultura
La grande abbondanza di materiale lapideo in Egitto determinò fin dall'Antico Regno una notevole ricchezza di opere scultoree. Nella scultura a tutto tondo o ad altorilievo le figure, generalmente commemoranti i defunti, sono presentate in maniera rigidamente frontale, e sebbene siano talvolta inscenati dei movimenti di braccia e gambe, il risultato è sempre sostanzialmente statico. Grande attenzione viene di solito posta nei volti, con una maggiore delicatezza nella resa del modellato e dei lineamenti. Con il trascorrere del tempo venne instaurato un vero e proprio canone di proporzioni per governare le varie parti della figura. Al naturalismo iniziale, ben evidenziato nelle statuette di animali e di madri col bambino al collo, subentrò il realismo manifestato nei simulacri regali di Gioser, per fare spazio poi alla tendenza all'idealismo e all'eleganza.[1]
I materiali scelti, in questo periodo, furono dapprima l'avorio, l'osso, il legno duro e poi anche il granito e la pietra dura con utensili di rame e martelli di pietra.
Durante il Medio Regno i laboratori di Menfi produssero statuette impregnate di accademismo, mentre gli artisti di Tebe idearono statue esprimenti grande forza, oltre alla innovazione della orma cubica. In questa epoca le statuette che accompagnavano il defunto rappresentavano vere e proprie scene teatrali.
Nel Nuovo Regno si diffuse il gusto umanizzante raffinato ed elegante, in linea con i canoni della corte di Tebe. La continua ricerca ed evoluzione plastica sfociò alla classica figura sorridente tipica del periodo dei Ramesse.
Nelle epoche successive, come in quella tolemaica, la sintesi fra il gusto greco e quello egizio creò compromessi tra naturalismo e geometrismo preparando lentamente l'arte copta.
Pittura
La maggior parte delle opere pittoriche, in tempera, vennero dipinte direttamente sulla pietra o su un intonaco costituito da uno strato di gesso, paglia e fango. Solitamente gli artisti lavoravano in gruppi, guidati dai maestri, ai quali spettavano le figure più importanti e le elaborazioni dei contorni e dei dettagli, mentre i pittori riempirono gli abbozzi con pennellate colorate.[2] I colori vennero ricavati dal ferro, dall'ocra, dal carbonio e dalla malachite, oltre che dal mescolamento con il bianco, derivato dal gesso o dalla calce. Il verde derivò dai sali di rame mentre celeberrimo fu il blu egizio.
Nell'Antico Regno si impose nel disegno il bassorilievo cromatico prima della diffusione del gusto pittorico vivace delle tombe di Meidum (circa all'inizio della IV dinastia), che comprese dapprima celebri scene di caccia e in seguito scene prese dalla vita quotidiana e dalla natura (V dinastia), nelle quali le figure assunsero un rapporto reciproco.
Durante il Medio Regno la pittura prese il sopravvento sulle arti scultoree per la sua maggiore facilità di realizzazione sulle rocce. Due furono le innovazioni di questo periodo: il naturalismo delle tombe di Beni Hasan e la tendenza a dipingere il sarcofago delle mummie.
Il Nuovo Regno favorì la raffigurazione di scene di guerra e di culto ispirate al Libro dei Morti. L'evoluzione passò attraverso l'esaltazione della linea e la gradazione coloristica fino all'espressionismo dell'ultima fase.
Nelle epoche tolemaiche e romane si diffuse il gusto del particolare e del movimento.
Ceramica e arti minori
La produzione ceramica risalente già all'età neolitica, seppur semplice e priva di decorazioni, si sviluppò successivamente nel centro di Deyr Tasa realizzando vasi tombali rossastri e carbonizzati. Intorno al 4000 a.C. si introdussero coppe di argilla nera, vasi e giare decorati.
Nell'Antico Regno i disegni geometrici raffigurarono in modo stilizzato animali, uomini, barche e si impose la ceramica a smalto blu, chiamata faenza egizia.
La produzione di gioielleria, ricca di monili e di collane nell'antichità, visse il suo momento migliore durante il Medio Regno, ben esemplificata dai diademi, dai pettorali dorati con pietre preziose, dai braccialetti, dalle cinture ritrovati nelle tombe di Dahshur. In questo periodo si diffuse l'utilizzo di canopi in terracotta per conservare le viscere delle mummie ed una raffinata arte del mobile, dai letti funerari ai troni. Inoltre si sviluppò la produzione di statuette raffiguranti animali e donne o prigionieri incatenati usate in riti magici.
Il Nuovo Regno si caratterizzò per la policromia ceramica e per il gusto popolare dei manufatti.
ARTE MINOICO-MICENEA | ||
PARAGRAFI OPERESuonatore di lira Affreschi minoici Brocchetta di Gurnià Ori micenei INDIETRO indice | Mentre in Egitto si sviluppava una delle più grandi civiltà del mondo antico, nel Mediterraneo orientale una diversa cultura artistica sorgeva in alcune isole e in alcuni territori della penisola greca. Fu soprattutto dall’isola di Creta che vennero le più originali novità, ed è qui che si sviluppa quella cultura figurativa definita anche «minoica» dal nome del mitico re Minosse. Le prime manifestazioni si datano al 2.500 a.C., quando in Egitto sono già sorte le grandi piramidi. Da questa data, la periodizzazione più diffusa dell’arte cretese individua tre principali periodi:
La periodizzazione, come si desume anche dai nomi, viene riferita alla datazione dei grandi palazzi che caratterizzavano la vita civile dell’isola. In pratica, a partire dal 2.000 a.C., nell’isola sorsero grandi complessi architettonici, la cui morfologia era molto varia e articolata: essi si componevano di centinaia di ambienti tra loro connessi da passaggi, corridoi e cortili che dovevano avere l’aspetto di un labirinto. Da questi palazzi, così complessi, nacque forse il mito del labirinto di Creta, costruito da Dedalo, e nel quale Minosse nascose il Minotauro, mostro metà toro e metà uomo. Oltre a quello di Cnosso (il più famoso) altri palazzi sorsero nell’isola: quelli di Festo, di Haghia Triada, di Mallia. I primi palazzi furono probabilmente distrutti da un terremoto che avvenne intorno al 1.700 a.C. La loro ricostruzione dà l’avvio al periodo del minoico tardo che finisce con la conquista dell’isola da parte delle popolazioni micenee. Rispetto all’antico Egitto, a Creta si sviluppò una civiltà dai caratteri più liberi e fantasiosi, meno condizionata da poteri forti, e, forse, data la sua condizione insulare, meno angosciata da guerre e da saccheggi, e quindi meno oppressa dalla militarizzazione della propria società. La vita si svolgeva nei grandi palazzi, che avevano la dimensione di un intero villaggio. Qui l’architettura aveva innanzitutto il compito di plasmare l’habitat di vita. E lo faceva senza forzature eccessive. La composizione dell’edificio avveniva adattandosi al luogo, con varietà planimetrica ed altimetrica, sconosciuta, ad esempio, all’architettura egizia o sumera. Le costruzioni egizie erano improntate ad un criterio compositivo che ebbe alterna fortuna nella storia dell’architettura: la simmetria. Una costruzione simmetrica ha un asse verticale che divide l’edificio in due parti esattamente uguali. Al pari del corpo umano, un edificio simmetrico ha la parte destra uguale a quella sinistra. Gli edifici egizi si impongono sul paesaggio circostante. Essi sono un segno ben visibile dell’intervento umano, teso a modificare l’aspetto del territorio. A differenza degli edifici egizi le costruzioni cretesi presentano tutt’altra concezione: evitando qualsiasi imposizione di simmetria – che costringerebbe a fare una metà dell’edificio uguale all’altra – i palazzi cretesi si inseriscono nel paesaggio con naturalezza ed organicità. Di dimensioni mai eccessive, ma proporzionate alle funzioni che devono svolgere, questi palazzi hanno una immagine varia e movimentata. La loro decorazione presenta poi un carattere di assoluta novità: non si affida alla decorazione plastica di sculture a tutto tondo o a basso rilievo inserite in parti dell’edificio, ma al colore delle superfici. Non solo le pareti interne sono decorate con affreschi dai toni vivaci, ma anche le parti esterne dell’edificio, quali le colonne, sono arricchite di colorazioni intense. A differenza dell’architettura egizia, che cerca di impressionare per la maestà e la grandiosità delle proporzioni, l’architettura cretese si presenta con caratteristiche di maggior intimità a dimensione di una serena e quasi gioiosa fruibilità. In questi palazzi, l’arte figurativa giocava un ruolo, fino ad allora, inedito: quello della decorazione. Le immagini, cioè, non venivano utilizzate per rappresentare concetti da comunicare, come nell’arte egiziana, ma venivano utilizzate per abbellire i luoghi di vita. E, quindi, il carattere richiesto ad un’arte così intesa, è, ovviamente, la bellezza. Il fine è quello del godimento estetico. Fu proprio in questo momento, che nacque il concetto che arte è sinonimo di bello. Concetto poi trasmesso all’arte greca, e di qui, giunto fino a noi, anche se più come preconcetto, visto che, oggi, non coincide, se non a livello popolare, con in nostro giudizio sull’arte. L’arte cretese, rispetto a quella egiziana, appare più libera e spontanea. Ha caratteri di freschezza rappresentativa, che riescono a cogliere la realtà con immediatezza e felice sintesi. È un arte, quindi, di tipo naturalistico, anche se non esente da qualche tecnica antinaturalistica. Le figure si affidano soprattutto al disegno della linea di contorno; i colori sono stesi senza effetti chiaroscurali, ma con campiture uniformi e vivaci, che finivano per esaltare il valore decorativo, rispetto a quello mimetico, di queste immagini. L’arte, sia come architettura che come pittura, nella cultura cretese, appare come un’unica attività tesa al bello. Nel suo caso, arte e artificio tendono a coincidere, in quanto tutta la produzione umana viene a soddisfare la identità domanda di qualità. Mentre sull’isola di Creta di sviluppa il tardo minoico, sulla penisola greca una nuova civiltà acquista importanza in campo artistico: è quella «micenea», così definita dalla città di Micene che per prima fu riscoperta nel 1874 dal famoso archeologo Heinrich Schliemann. In questo centro, come in quello di Tirinto e di altre città del Peloponneso, si sviluppò quella civiltà che diede i natali agli eroi omerici protagonisti della guerra contro Troia. La civiltà micenea, come quella cretese, viene suddivisa in tre periodi principali:
La cultura artistica micenea subì grandi influenze da quella cretese, ma notevoli sono anche le differenze. Nell’architettura, il carattere aperto e disordinato dei palazzi cretesi, a Micene, non si ritrova. I centri continentali non hanno le naturali difese che ha un’isola, così che le città devono avere strutture più solide e adatte alla difesa. Pur non ricorrendo alla grandiosità dell’architettura egizia, le costruzioni micenee sono improntate ad un severo senso di robustezza e gravità. Gli edifici, realizzati con conci di pietra a vista di grosse dimensioni, denunciano già nel loro aspetto il carattere di forza e inaccessibilità. I palazzi micenei, posti in posizione dominante su alture circondate da mura, hanno quindi un aspetto più regolare ed ordinato rispetto a quelli cretesi. Al loro interno sorgeva un ambiente, chiamato megaron, che aveva una conformazione singolare. Al centro sorgeva un grande camino circondato da un quadrato di quattro colonne. L’ambiente era preceduto da due vestiboli, il primo dei quali era aperto sul lato anteriore presentando due colonne in facciata. Dalla forma del megaron miceneo deriva probabilmente la tipologia del tempio greco classico. Ma l’architettura micenea mostra altri caratteri di novità: essa comincia a sperimentare la resistenza delle strutture curve, ma lo fa in modo ancora incerto. Gli archi e le volte di alcuni suoi edifici sono in realtà pseudo-archi e pseudo-volte in quanto gli elementi costruttivi non si sorreggono per mutuo contrasto, ma sono leggermente aggettanti uno rispetto all’altro, e scaricano il peso secondo linee di forze verticali. Di particolare interesse è soprattutto la famosa Tomba di Agamennone, anche chiamata Tesoro di Atreo, costituita da un tholos a pseudo-cupola. In campo figurativo poche sono le differenze rispetto alla civiltà cretese, anche se manca spesso il carattere di gioiosa libertà creativa di quest’ultima. Notevole è soprattutto la lavorazione dell’oro, utilizzato spesso per un insolito uso: ricoprire di una lamina dorata i volti dei defunti. Ma la civiltà micenea, rispetto a quella minoica, è maggiormente influenzata dagli «eroi»: quei principi achei che, tra l’altro, hanno combattuto la guerra contro Troia. L’esaltazione dell’eroe guerriero, trovò la sua forma di rappresentazione preferita nei canti poetici. In quella lenta elaborazione delle forme di scrittura e recitazione, da parte di aedi e rapsodi, che portò, alcuni secoli dopo, ai poemi omerici. Inizia, in questa fase, l’uso della parola in forma artistica. L’espressione verbale, rispetto ad altre, rimane più legata ad una immediata percezione del contenuto. L’elaborazione dei carmi eroici, portò invece a perfezionare quelle tecniche di scrittura, in particolare la metrica, dando alla poesia il suo valore di forma estetica. In questo momento, in una cultura occidentale, le parole, anche nell’arte e non solo nella comunicazione, acquisirono maggior importanza rispetto alle immagini. La successiva cultura greca, erede delle civiltà minoico-micenea, sviluppando la filosofia ha di fatto ulteriormente accentuato la distanza tra immagini e parole, tramandandola a tutta la cultura occidentale. |
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